Friday, August 2, 2019


01 Agosto, Kiso Fukushima


               Lontano dalla folla, dalle immense città, dai 140 milioni di abitanti, sorge Kiso, piccola cittadina d’epoca Edo.



                Primo di 11 avamposti creati per i porta lettere nell’epoca dello 'Shogunato’ che constatemene trasportavano - ma anche morivano, si fratturavano, si perdevano di proposito - lettere, messaggi tra lo Shogun (il generalissimo) con sede a Edo (l’attuale Tokyo) e l’imperatore con sede a Kyoto.

                Ryokan sono le tipiche taverne/ locanda dove proprio quei porta lettere si riposavano, dove io mi sono riposato.
                Mi accolgono scricchioli ad ogni passo, odore di legno secco al sole, incenso su ogni parete e un signore e una signora giapponesi. Lo capisco non solo dall’aspetto, ma anche dal loro inglese, che è giapponese disturbato da alcune parole inglesi.

                Mi mostrano la stanza, tutta fatta prettamente di vimini, il futon come letto, il cuscino pieno di noccioli di ciliegia. Eccitato entro, e il signore si lamenta come se lo avesse punto qualcosa di letale. Le mie ciabatte. Ero entrato nella stanza con le ciabatte. Le tolgo scusandomi mille volte e lui me le sistema perfettamente con la punta rivolta al corridoio e il tacco all’uscio della porta scorrevole.  Probabilmente me lo aveva detto prima ma la comunicazione non era stata delle migliori. 

               A proposito di comunicazione; sul treno Ueno - Kiso ho avuto la prima conversazione con una Giapponese. Era bello e tranquillo seduto al mio posto leggendo la lonely planet su cosa fare a Kiso che questa signora abbondate sulla sessantina, piena di buste di plastiche rosa e fucsia, con un borsone di quelli da sportivi mi chiede: '
             'Europa?'
             'Hai' rispondo in giappone.
             Lei sorride.
             'Italy', Continuo. 
             Lei acconsente con la testa ma non ha capito un tubo.
             Silenzio.
            Dopo venti minuti la signora mi da un biglietto da visita. Davanti é tutto scritto in giapponese, ma dietro la testarda vecchietta ha scritto qualcosa. Ha scritto in caratteri occidentali il suo nome: IBARAKI CHIEKO. e una domanda:
            'Giochi a tennis?'
            Che c'entra. penso. 
            'Una volta' dico educatamente. Vuoto dalla sua parte.
            ' Mi piace il tennis'. Mi corrego. ' Tennis è buono'
            Il suo vuoto prende forma, mi ha capito, o ha capito qualcosa. Poi presa dal coraggio per aver messo giù il primo pilone di un ponte comunictivo indica il borsone davati ai suoi piedi. Me lo apre. Dentro ci sono un paio di racchette di tennis. Mi dice qualcosa su un torneo a Tokyo, che lei deve giocare, o a che vi partecipa. Me la immaginavo giocare, e vedevo mia nonna correre dientro una pallina gialla. 
           Io dico solo 'hai' ogni volta che c'era una pausa al suo monologo. Poi finita la descrizione di quello che andrà a fare a Tokyo, mi dice. 
          ' Federer e Djokovic, wimbledon, buono'
          Ah! Sorpreso. Aveva visto la finale di Wimbledon. Mia nonna sicuro non lo avrebbe mai fatto.
          'Buono, sì buono' Condivido. 'Fantastico'. Aggiungo. Ma era una parola difficile. Concludo allora con 'Federer e Djokovic buono'.
         Poi la conversazione vira su uno scambio di nomi di tennisti e tenniste alternati da noi. Siamo andati avanti per una decina di minuti. Poi io ho detto un paio di quelli giovani e il vuoto mi ha guardato di nuovo.
         Silenzio.

         Dopo 10 minuti la giocatrice molto senior mi da un astuccio in contone e dice
        'Regalo'. E aggiunge in giapponese qualcosa accompagnato da una mimica della mano. Sembrava averlo fatto lei.
         Io preso dalla legge dello scambio, le do della cioccolata belga.
         'Regalo. Cioccolata Europa'
         lei anuisce contenta.
         Silenzio. Questa volta breve.
         Mi allunga un uovo sodo.
         'Regalo'.
         Io lo prendo e mentre lo soppeso, non so che scambiare. Alle fine opto per la fascia per i capelli.
         'Regalo'. Le sorrido preoccupato.
         E se in quelle buste elastiche di plastica ci fosse stata un'infinità di oggetti a cui io non avrei potuto avere nessun contrappeso? Che fare?
         La mia preoccupazione fu vana, di lì a poco la vecchietta con buste e borsone da tennis scende ad una fermata per il suo torneo.
        Alla prossima  sul panda rosa gigante.





        

        

         

       

            

             
             

               

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