Saturday, August 24, 2019

21-23 Agosto. Hiroshima, la prima bomba atomica è tua. 

            “Mai, mai
            Scorderai
            L'attimo, la terra che tremò
            L'aria, s'incendiò
            E poi, silenzio…”
            Così cantava una sigla di un cartone animato giapponese e così da bambino mi immaginavo lo scoppio di un ordigno nucleare. Da adulto di fronte alle uniche macerie di quell’evento un’emozione forte e immobile mi ha colto.



            Ricordo alle elementari l’epiteto “bomba atooo’ ”, con quel “oooooo…” che si allungava per un bel po’, quasi come la potenza sprigionata da tale arma. La parola ‘atomica’ spezzata da quel ‘oooooo…’ come tutte le vite distrutte nell’attimo della detonazione. Eppure tal epiteto lo si usava per prendere in giro una compagna di classe alquanto cicciottella, con guance paffute e piene, con forme sferiche non definite.

            L’espressione “neanche le cannonate mi svegliano” a volte io l’ho trasformata in “neanche la bomba atomica mi sveglia”. Sembrava un’espressione innocua.
            Nei giorni del ritiro meditativo, assistendo al concerto notturno dei tre tromboni, uno dei mei compagni di stanza mi aveva offerto dei tappi per le orecchie. 
            Io rifiutai dicendo.
            ‘Grazie, non ne ho bisogno. Quando ho preso sonno neanche la bomba atomica mi sveglia.’
            Appena quelle parole non furono più mie perché ascoltate dall’altro, mi resi conto della ‘gaffe’ che avevo fatto. Il tipo mi guardava con gli occhi da pesce palla. Io mi scusai immediatamente e presi i suoi tappi per aggiustare il tutto. Il tipo mi sorrise soddisfatto e il tutto sembrò tornare alla normalità. Il tipo, che era di Osaka, probabilmente non aveva compreso l’espressione. Un’espressione veramente falsa, perché una bomba atomica la senti e come. E l'effetto si protrae per molto tempo.

            6 Agosto 1945, 8:15 inizia lo show.
            Un bombardiere americano lancia ‘little boy’, che dall’alto dei cieli inizia la sua inesorabilmente discesa.

            La gente sotto le nuvole vive normalmente. C’è chi va al mercato, chi si sposta in bicicletta, chi ha finito la preghiera al tempio, chi chiacchiera con il vicino, chi si prepara la colazione, la finisce, grida al figlio di finirla. I tram attraversano ponti le spostando gente, si vede qualche auto. Il progresso avanza.

            E il progresso si concede a 600 m d’altezza dal suolo, con epicentro a 230 m dall’edificio del prefetto per le esibizioni commerciali. La fissione nucleare ha avuto successo.
            La gente sulla terra ha finito un respiro e mentre sta per iniziarne un altro, il boato.

            La temperatura s’innalza attestandosi tra i 3000-4000 gradi centigradi in un attimo. Le previsioni avevano previsto molto caldo in quel giorno.

            Tutto ciò che infiammabile in un raggio di 2 km s’incendia all’istante. I 4/5 della città era fatto di legno, di buon legno.

            La gente in attesa di fare l’altro respiro, vola dal suolo sbattendo su qualsiasi materia ancora composta.
            L’onda d’urto abbatte pareti di cemento, piega cavi d’acciaio, appiattisce pilastri alti, manda in frantumi tutti i vetri rilevando le interiora di edifici, briciole di corpi, gas purulenti che scappano senza sosta inseguiti dalle fiamme fameliche.
            La nube atomica contenta del suo operato s’impenna per allargarsi nel cielo. Il fungo velenoso si disperde nei cieli.

            Finalmente, la gente compie il suo respiro. È dolore. È inferno. Per lo meno per chi c’è riuscito. Per quelli fortunati il respiro non è arrivato mai, obliterati completamenti all’istante.
            Le fiamme sovrastano vittoriose, le macerie si raggruppano indecise qua e là.


            ‘I ponti, andiamo sui ponti, lì non c’è fuoco che possa giungere’ Si pensa nell’attimo. Allora l’istinto guida ai ponti. E i ponti sono crollati. O quasi. Ce n’è ancora qualcuno in piedi.

            ‘Alzati in piedi’ È il comando che tutti si impongono.
            Allora tutta una banda di storpi, di membra bruciacchiate, di lacrime e lamenti avanza. Tutta una serie di padri con figli appesi al collo, sorelle a trascinare ciò che resta di fratelli, madri a sorreggere genitori non più credenti, bambini orfani del momento si assembra per occupare lo spazio vitale.

            E presto lo spazio straborda per chi è arrivato in ritardo, per chi non è riuscito ad alzarsi.
            Non c’è altro da fare: il fiume.
            Si gettano a raffica nel fiume. Ma sono in gabbia. Il fiume è anch’esso pieno. Centinaia e centinaia di corpi senza respiro galleggiano raggrinziti spensieratamente. Non c’è spazio per nuotare, rimanere in superficie. La corrente rossa e densa ti spinge giù, ti spinge via, via, via.

            Per chi è sul ponte, o nei fortunosi spazi vuoti tra macerie, con grande respiro la paura è passata. E il dolore si fa acuto, preciso; bruciature a casaccio sul corpo, stoffa e tessuti vari confusi alla pelle, grasso che cola abbrustolito su muscoli e ossa in evidenza, tratti del viso fusi in un’unica espressione. E dal dolore causato dal fuoco al dolore per il bisogno di qualcosa per dissetarsi, per affievolire quel calore primordiale.

            Sono passati appena 30 minuti. Il fungo, ormai solo una memoria, ha disperso una bella quantità di materia, polveri,’ceneri, fuliggine e altra merda radioattiva. Tutta quella roba si è unita alle nuvole e vapori acquei. Il segreto della decomposizione e composizione degli atomi. L’effetto è pioggia

            Grosse, vischiose, imbrattanti gocce nere scendono veloci e senza sosta.
            ‘Bevi, bevi e bevi.’ L’imperativo dei superstiti.

            A bocca aperta ingurgitano quelle gocce enormi che fanno male quando colpiscono
            ‘Bevi, bevi e bevi’. Con la fretta che del domani non c’è certezza mentre s’inchiostrano segni intellegibili sugli stracci, sulla pelle.

            Passa poco per osservare i primi conati di vomito, di diarree fulminanti. C’è chi si getta a terra reggendosi lo stomaco, dimentico delle bruciature. Chi incomincia a sputare sangue.
            La pioggia sporca!
            Quello le previsioni atmosferiche non l’avevano previsto.

            Intanto i primi aiuti iniziano ad arrivare in città dai paesi vicini. Portano viveri, acqua e quel poco di medicinali rimasti.

            Iniziano ad assetare i malcapitati.
            È una cattiva idea. Le ustioni sono anche interne. L’acqua non fa che aumentare le formazioni di bolle, che poi esplodono e sanguinano. La gente affoga nel proprio sangue.
            Si decide di aspettare l’arrivo di dottori. Intanto c’è chi si lamenta per l’acqua, chi per le bruciature riportate. C’è chi muore di sete, chi muore per le ferite non trattate.

            Arrivano i dottori e le forze armate. Si preparano degli ospedali alla meglio. Inizia il trattamento, precedenza ai più gravi.
            Siamo nel pomeriggio e c’è gente che incomincia ad avere nausea, fiacchezza, giramenti di testa. A soffrirne ci sono anche le persone che non sono state colpite dalla bomba.

            Passano alcuni giorni, nei neri, come punture di scorpione, appaiono sulla pelle, del sangue inizia a macchiare la lingua, i capelli cadono abbondati dalle chiome. Quelli i sintomi più evidenti. La gente incomincia a morire di nuovo.


             ‘Little boy’ che biricchino, aveva ancora un altro regalo in serbo: la radiazione.

             Passano settimane, passano mesi, molti si riprendono dai sintomi della radiazione e la vita riinizia di nuovo.
            ‘Almeno 65 anni, prima che qualcosa possa crescere o vivere di nuovo sul suolo di Hiroshima.’ Si prevede

            Subito dopo gli anni 50 la città è già in ricostruzione.          
            Sembra che tutto vada a gonfie vele. I superstiti hanno figli normali, invecchiano bene. All’improvviso, casi di leucemia, tumori al seno, allo stomaco, alla pelle. Sono tumori che vengano dal nulla e in un nulla compiono il loro dovere.

            La radiazione è un regalo persistente. La si porta dentro. Di nuovo è il segreto dell' atomo in trasformazione.
           

            Fino a qualche tempo fa il Giappone, data l’esperienza dell’atomica, era contro ogni utilizzo di ordigni nucleari nel mondo. Dal 2012 il partito progressista ha iniziato una campagna per permettere al Giappone di avere il consenso internazionale ad armarsi con testate atomiche proprie, ovviamente solo per difendersi.

            La storia come maestra di vita.
            
             
           
                                     
              
                  


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