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Agosto, Tsuwano, forse mi converto.
Leggendo
le guide, cercando in internet, e soprattutto dopo una conversazione con due
ragazzi a una bacone di un ristorante di Hiroshima mi convinco che Tsuwano sia un’ottima
scelta per trovare qualche traccia su i samurai.
Non ne ho trovata nessuna. Di fatti
avevo avuto un sospetto dopo la conversazione con i due ragazzi.
Aspettavo l’ordinazione e uno di
quei due ragazzi, mi fece un segno.
‘Questo è buono.’ Mi disse indicando
la metà di qualcosa nel suo piatto.
‘ Sì, è quello che ho ordinato’.
Sperando che il suo qualcosa non fosse come il mio.
A fianco l’amico, che era tra me e l’altro,
si concentrava a mangiare il suo qualcosa.
‘Da dove vieni.’ Continuò mentre afferrava con le bacchette un boccone.
‘Italia.’ E remore dell’ultima
conversazione con uno sconosciuto aggiunsi subito. ‘Europa’.
Lui annuì. L’amico masticava.
‘E voi siete di Hiroshima, vero?
‘No, di un’altra città’. Disse il
loquace.
‘Anche tu? Indicai all’altro.
‘Hai’ Affermò il mangione in modo timido.
Capii che il suo inglese non era dei
migliori. Allora di nuovo al loquace.
‘ Da dove venite?’
‘Loquace’ disse una città impronunciabile
con iniziale ‘M’. Io feci finta di capire.
‘Anche lui?’
‘Hai.’
Disse mangione a bocca piena.
Arrivò il mio piatto, ed era ancora un altro qualcosa. Un dubbio velò il mio volto.
‘Sei qui per lavoro?’ Chiese “loquace”.
‘No, per vacanza. E voi, siete qui
per vacanza?’
‘Iie’ Dissero entrambi. E “loquace” voleva spiegarmi cosa faceva a Hiroshima. Iniziò
con ‘io…’ poi cambiò ‘Noi…’ e nessun verbo d’azione.
‘Studiate?’ Cercai di indovinare.
‘Iie’.
Non era lo studio.
Poi i due conversarono un poco in
giapponese. Io attesi un tentativo di spiegazione. Iniziai a mangiare.
Osservato per un po', “loquace” mi
passò una salsa per condire.
Io ringraziai.
‘È buono’ Dissi. E lo era veramente.
Poi non sapendo cosa aggiungere parlai di sport.
‘Vi piace il baseball?’ E non feci
quella domanda perché inspirato dalla vecchia che mi aveva chiesto del tennis.
Hiroshima ha un team di baseball molto famoso in Giappone, i “Carp”
“Loquace” s’illuminò.
‘ Noi.’ Indicando anche mangione. ‘Siamo
nel team di baseball.’
‘Cosa?’ domandai.
‘Noi giochiamo a baseball. Poi
incominciò ad aggiungere giapponese alla sua spiegazione. Coglievo solo ‘Carp’, ‘baseball’, ‘giochiamo’; lui si
rese conto che ero perso. Chiese aiuto a “mangione” per la traduzione di alcune
parole. “Mangione” aveva deposto per un momento le bacchette e ci pensò un
attimo. Disse qualcosa all’amico. Rise su quello che aveva detto e riprese le
bacchette. La bocca era piena di nuovo.
Mangione era magro comunque.
Mangione era magro comunque.
Estrapolando dalla sua comunicazione,
sembrava che quei due ragazzi fossero della squadra B dei Carp, o della squadra giovanile. Chi lo saprà
mai. “Loquace” mi aveva anche detto il suo nome, che dimenticai all'istante.
Tra le altre cose, tra le tante
parole giapponesi, ci fu il momento in cui mi dissero che Tsuwano era un ottimo
posto da visitare se cercavo tracce di samurai.
‘Tsuwano è buono.’ “Loquace aveva
affermato.
‘Hai.’
“Mangione” aveva sottolineato con il piatto vuoto, le bacchette luccicanti e il
tovagliolo intatto.
Avevano entrambi un’espressione
divertita.
Appena uscii dalla stazione, capii che le due promesse del baseball nipponico non avevano proprio idea di come
fosse fatto Tsuwano. E molto probabilmente mi avevano solo assecondato in una
scelta che volevo già fare.
Passeggiavo per le quattro strade del
centro e nessuna traccia di qualcosa che possa ricordare i samurai. Nessuna traccia
di essere simili a me.
In compenso ci sono delle carpe che assomigliano a
squali. Grosse e fameliche, nuotano in canali artificiali creati lungo la
città. La storia racconta che furono messe in quelle condizioni nell’eventualità di assedio nemico, così gli abitanti avrebbero avuto di che mangiare.
Nel momento che ti avvicini, gli ‘squali
carpa’ ti vedono e incominciano ad assembrarsi nella tua direzione. Pogano gli
uni con gli altri come se fossero in un concerto metal per la miglior posizione. Si innalzano in superfice con il muso baffuto e boccheggiano come se mancasse loro l’aria. Invece sono solo boccheggiate fameliche rivolte al cibo del turista di turno.
Io esperimento. Mi sposto lungo il
bordo e ‘gli squali carpa’ seguono con diligenza; sempre quel boccheggiare che
sembra cercare disperatamente una parola da esprimere ma è solo una muta
esigenza di approvigionamento.
Avevo letto che in Tsuwano c’erano
più carpe che abitanti. Vero!
Che fare allora? Avevo escluso totalmente
di andare alla mia Ryokan. Già sapevo
che sarebbe stato un contatto difficile.
Qualche giorno prima avevo chiesto
se avessi potuto lasciare i miei bagagli prima dell’orario di check-in ufficiale, ecco la
risposta:
“わかりました。お荷物は何時でもお預かりいたします。到着時間がわかれば津和野駅までお荷物を受け取りに行く事も出来ます。若さぎの宿”
Ovviamente uso il traduttore di google :
“Ho capito. Conserveremo i bagagli
in qualsiasi momento. Una volta che conosci l'orario di arrivo, puoi andare
alla stazione di Tsuwano per ritirare i bagagli. Locanda della Gioventù”
Non c’era speranza.
Allora girovago per la città
cercando qualcosa. E più giro, più mi vedo solo, più apprezzo la situazione in
cui mi trovo.
Scopro una chiesa cattolica in mezzo
a una foresta.
Cammino indisturbato tra le pareti
scorrevoli di un tempio buddista vecchio e gocciolante.
Arrivo su in collina tra mura di un castello appollaiato su
una delle vette. Era un castello enorme, completamente abbandonato. E in
quella decadenza ormai inarrestabile con alberi vittoriosi sulla sua
architettura, di scale in metallo molto autunnale, lì sopra sentivi la
maestosità del dominio dell’altezza. E non era quello che mi aveva quasi
convertito.
In un’altra ennesima scalata a
vedere un tempio Shinto, perché la maggior parte dei templi Shinto stanno sempre
in altezza. Quindi un’altra sudata. Arrivato su, mi accoglie una piccola
differenza. A fare la guardia non ci sono i due tipici cani coreani, (per una
visualizzazione, vedere il primo film dei Ghostbusters) ma due volpi.
Quello non era ancora abbastanza per
una conversione.
Nel tempio ci sono delle poltroncine,
dove mi siedo. Osservo l’altare con nessuna figura di Dio, attorno c’è un arredamento
molto abbondante, e su un lato una serie di regali incartati per il Dio. Dalla
forma rettangolare sembrano confezioni di sake.
Qualcuno mi tocca la spalla e mi
allunga un gilet bianco. Il tipo vestito tutto in bianco con una fascia blu a
reggere un ‘yukata’ (il kimono
estivo) mi dice qualcosa in giapponese. Io titubo Non so se prendere il gilet o
meno. Vista la mia esitazione, il prete, che poi si rivelerà assistente del
prete, mi mette a fuoco.
‘ Questa è zona di preghiera ora. Se
vuoi visitare il tempio, puoi stare sul bordo fuori l’area dell’altare’. Lo dice
con un inglese simpatico.
Io ubbidisco e vado al bordo per mettere
le scarpe e andare via. Invece vedo un vecchietto arrivare, insieme a sua figlia,
suppongo. Cammina proprio male. Fa una fatica enorme a salire le scale di
fronte all’altare. E con tutto il dolore del mondo, senza neanche un lamento,
riesce a sedersi su una poltrona vestendo lentamente il gilet datogli dall’assistente
simpatico. La figlia veste lo stesso gilet a sua volta.
La mia curiosità cresce e rimango in
attesa.
Inizia così. Il tamburo inizia a
rimbombare. L’assistente simpatico fa un volteggio di flauto e due minuti dopo
si presenta il prete del tempio. Vestito tutto di bianco entra con passo
leggero e sordo.
Procede a passi brevi poi presso il centro dell’altare fa due passi lunghi per ritornare a passi brevi. S’inginocchia
toccando con i glutei i talloni. S’inchina un paio di volte a un bastone ricoperto
da una specie di collane che infilano dei fogliettini piegati. Su quei
fogliettini ci sono preghiere, parole degli dei, auguri per i fedeli.
Il prete dopo la preghiera inizia a
cantare. E il canto è a cappella, in giapponese e mi ricorda per le intonazioni
il canto gregoriano. Intanto figlia e vecchietto sono chini in silenzio. Non
osservano minimamente quello che fa il prete.
Dopo aver cantato, l’immacolato
prete attende qualche secondo. Poi si alza e prende il bastone con i
fogliettini. Dice qualcosa, fa un breve canto. E lo sventola davanti agli unici
credenti della sala, come una benedizione.
Lo rimette a posto. S’inginocchia e inizia un altro canto.
Intanto senti ogni tanto lo
scampanellare del gong. Vuol dire che qualche fedele sta esprimendo un desiderio
al Dio. Senti anche il tintinnio delle monete che vengono offerte in cambio. Qualche risata o commento. Tutto avviene mentre vi è la cerimonia
in corso davanti all’altare. E tutto incredibilmente normale.
Il prete imperterrito passa davanti
all’altare. Questa volta ci sono altri bastoni, quattro per la precisione. Su
ogni bastone ai lati sono attaccati due pezzi di metallo a forma di saetta
discendente. Il prete ne prende uno dopo aver cantato di nuovo. Inizia a farlo
vibrare davanti al vecchietto che è tutto occhi chiusi e attesa. Più che una
benedizione sembra un avvertimento. La vibrazione delle due saette di metallo
hanno un effetto ammonitrice. Il prete ferma la vibrazione e il vecchietto
risponde con una preghiera breve. Sempre con gli occhi chiusi. La figlia invece
non si è mossa dall’inizio della cerimonia.
Il prete allora rimette a posto il
bastone con le saette non prima di aver dato sfoggio ancora una volta alle sue
qualità canore. Fa i soliti passi lunghi e poi brevi e finisce così la
cerimonia.
Prima di abbandonare la sala,
scambia qualche chiacchiera con il vecchietto. Quest’ultimo sembra essere d’accordo.
Il prete va via.
Sto mettendomi le scarpe e c’è una scena post-credit, proprio tipica dei film dei supereroi.
L’assistente simpatico arriva con un
carello composto da due vassoi. Quello in alto sorregge una bottiglina
bianca e immacolata. È sake. Viene
offerto al vecchietto.
Certo, sake come estrema unzione, non sarebbe male. Mi potrei convertire, penso ironicamente.
Invece scendo le scale. E alla loro
fine vedo il vero motivo per cui potrei lasciarmi andare in quella religione.
Non è lo scambio spicciolo di qualche moneta con i propri desideri più privati, non è un bicchiere di sake
a ogni cerimonia, ma un albero centenario che si para davanti a me. Nella discesa
dal tempio della volpe mi trovo un albero vecchio e risorto più volte,
circondato e addobbato con tutti gli elementi propri di un tempio Shinto. Vi è
pure la cassa di legno dove poter offrire le monete.
Shin,
(divinità), to (via), "la via verso la
divinità", cosa vi è di più vicino al divino della bellezza e della forza di quel
albero che attraversando il tempo muta e allo stesso tempo rimane ancora se stesso?







Sembra di essere in un libro di murakami:-)
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