Tuesday, September 3, 2019

Vipassana II

            Quando ti svegli la prima mattina alle quattro, dopo aver ricevuto la sera prima il primo messaggio d’istruzione del corso, che a volte è trasmesso con video di quasi un’ora e mezza, un monologo di  uno dei maestri che ha fatto conoscere questa tecnica in occidente, S.N. Goenka, non riesci ancora a incastrare il pensiero della scelta che hai fatto con le sue conseguenze volute liberamente.

            Non è come la sensazione di aver voluto la bicicletta e quindi devi pedalare. Era come: sono pronto a pedale e questa la bicicletta che mi viene data.
            Quella sensazione non era strana.  L’insegnamento si doveva sviluppare a gradi, che come cerchi concentrici si sarebbero allargati fino permettere il possesso della tecnica e del suo senso nella vita di tutti i giorni per chi la praticava.
            C’erano tre condizioni perché ciò succedesse.

            Sila,
            sono i precetti morali che regolano il codice di comportamento. La condizione, il liquido amniotico’ per far crescere la consapevolezza della tecnica.

            - Non uccidere nessun essere vivente. Il cibo offerto era tutto rigorosamente vegetariano, zuppe varie sempre accompagnato da riso. Un giorno, hanno fatto una sorpresa: Spaghetti al sugo. Vedevi i giapponesi mangiarli per la prima volta con la forchetta e non con le bacchette tipiche.

            - Non rubare agli altri. E come fare? Ti venivano ritirati tutti gli averi e oggetti di valore.

            - Non avere una condotta sessuale sregolata. La separazione tra maschi e femmine era netta, segnata da cartelli, confini tracciati a terra. Nessun muro o posti di guardia e tutti rispettavano il confine.

            - Non bere nessuna bevanda alcoolica o fare uso di stupefacenti.  Il loro uso avrebbe contaminato la ricerca della verità da parte della mente, verità necessaria per assorbire la tecnica.

            - Non mentire. È qui la ragione del nobile silenzio. Se non puoi parlare, allora non puoi dire bugie. Molto estremo, ma sicuro efficace.       

            Non mi avevano detto niente di nuovo. Anzi mi sembrava una cosa abbastanza semplice; cinque invece di dieci comandamenti da rispettare.
           
            Samadhi,
            La purezza della mente. Essa è il pilastro su cui consolidare la tecnica per una vita senza dolore, le mura impenetrabili per tutta la realtà esterna nelle sue manifestazioni attraverso di noi.
             
            Nei primi due giorni c’era una certa elasticità nell’interpretare le istruzioni che venivano sempre dettate la sera prima. Erano giorni preparatori. Servivano per comprendere solo un particolare della tecnica, che avrebbe dato accesso al suo aspetto generale. Nello specifico si doveva imparare a rimanere concentrati, evitando ogni pensiero, sulla respirazione. Lasciare che il respiro, un automatismo che non richiede la mente per funzionare, potesse continuare libero senza pensieri. Succedeva a volte che la mente divagava e la concentrazione sul respiro si smarriva. Niente paura. Bisognava solo ritornare all’automatismo del pensiero. E così per undici ore al giorno tra la sala delle meditazioni in comune e la propria stanza.
            Non pongo l’accento sulla meditazione rumorosa di alcuni miei compagni di stanza.
            Ho detto ‘elasticità’ poiché ognuno poteva stare seduto a modo suo, per un tempo arbitrario. L’importante era imparare a rimanere concentrati anche per breve tempo.
             
            Io non capivo la finalità di quell’esercizio. Nei video istruttivi, Goenka spiegava come la tecnica non era settaria, che aveva un messaggio universale ed eterno. Non aveva bisogno di un Dio da venerare con rituali o preghiere. C’era solo l’uomo con se stesso, con i suoi traumi e la sua sofferenza. Solo imparando a sentire veramente se stessi, il proprio corpo, e il mondo con essi, si sarebbe potuto eradicare quel male che ci rendeva infelici. Solo attraverso il raggiungimento della purezza della mente si sarebbe potuto comprendere la fonte di tutti i nostri mali. Allora davo tempo.



            Paññā,
            Saggezza. È il cemento che sfalda la realtà. È il raggiungimento della consapevolezza assoluta, sicura, certa, delle tre verità sul mondo che ci circonda e su di noi, sulla loro falsa consistenza.

            1)Anicca, la temporaneità, il provvisorio. 
            Il mondo è fatto di atomi, atomi che si sfaldano e poi si ricompongono. Confermato anche dalla fisica subatomica. Le cose che ci circondano sono destinate a finire, a mutare. Sempre. In quel caso Goenka fa un bell’esempio, sui capelli di una donna.
            Li troviamo belli, ben curati e così complimentiamo la donna, che li porta, della sua bellezza. Poi quando gli stessi capelli si trovano nel nostro piatto di riso, allora li troviamo disgustosi e brutti. Trasformazione e distruzione degli atomi.

            2)Dukkha, Miseria o il mondo come sofferenza.
            È vero, il mondo è una merda. Si soffre, si è stressati, frustrati per una vita che sembra andare in nessuna direzione, per dei desideri che non possiamo realizzare, per una libertà che non possiamo attuare. Ma tutto ciò è il prodotto di una nostra illusione. Noi crediamo nelle cose lì fuori. Tutto ciò che ci rende tristi o felici non ha nessuna durezza, durata, realtà concreta. Tutto è sempre di passaggio. Noi lo siamo, le cose lo sono. Perché allora affezionarsi a loro, attaccarsi a desideri su di loro? Siamo noi ad alimentare la miseria del mondo con la nostra illusoria certezza che qualcosa permanga davanti a noi, e a volerla.
            Goenka fa l’esempio del monaco che si bagna nel fiume. Una volta dentro non è mai la stessa acqua che lo bagnerà. Tutto è in continua evoluzione. 
  
            3)Anattā, L’inesistenza del proprio sé, della propria identità.
            Ultimo atto della saggezza: visto che tutto parte da noi, visto che noi siamo quelli che ci ‘infanghiamo’ nella realtà del mondo, basta scoprire dentro di noi che anche noi siamo illusione. La nostra identità si costruisce, si fa in confronto al mondo, agli altri. In verità non esiste.
            Qui Goenka fa l’esempio di Buddha. Cosa ha fatto? Per giorni e giorni si è messo a meditare per scoprire il perché della miseria del mondo. E ha avuto l’illuminazione. Tutto parte da noi. Prendendo coscienza di ciò, anche il nostro sé è un illusione come il mondo. Con quella scoperta lui ha iniziato a insegnare la tecnica meditativa del Vipassana, l’unico modo per raggiungere una consapevolezza se non simile, ma molto vicina.




            E fu così che iniziò il terzo giorno, e di come io, preparato a pedalare la bicicletta in pianura, iniziai a pedalare in salita.

            Dal terzo giorno ci fu istruito che delle undici ore al giorno, solo in tre, mattina, pomeriggio e sera, ci si chiedeva di meditare seduti, con gli occhi chiusi, con le gambe incrociate, senza aprire o muovere le mani per l’intera ora. 
            Che dolore, che sofferenza. Ti alzavi da quell’ora con le gambe addormentate, con dolori alla schiena, alle spalle e al collo. A volte volevo scappare, a volte volevo fingere, a volte non ce la facevo. Eppure ero sempre là seduto a provarci, a comprendere, ad annullare la soluzione più semplice.
            Goenka nei video prevedeva quello che ci stava succedendo, incitandoci a non mollare, a continuare, a cercare nella purezza della mente il dissolvimento del dolore. Che tutte le sensazioni che ci attraversavano il corpo, da quelle positive a quelle dolorose erano transitorie.
            Aniccia ripeteva Goenka, tra un canto e un altro registrato.
            Aniccia ci bisbigliavano le sensazioni che attraversavano ogni singolo organo o parte del corpo con il sudore gocciolante dolore. 
            Quella era la tecnica vipassana: l’unione di mente e corpo, di consapevolezza e purezza nel pensiero, di sensazione e transitorietà.
           
            Sati,
            conoscenza consapevole.  Senza di essa nessuna meditazione Vipassana sarebbe possibile. Soltanto con il pieno possesso di un atteggiamento che è diretto dentro di noi, alle nostre sensazioni più personali, ad accettarle per quelle che sono, a non partecipare nel dolore o nel piacere che esse ci consegnano, è possibile comprendere il mondo per quello che è, e noi con esso.

            Tale consapevolezza insieme alla purezza della mente funzionava. Notavo che con i giorni riuscivo a sentire sempre meno dolore. Prendendo coscienza delle sensazioni che scorrevano su tutte le parti del corpo, lasciandole andare, perché la natura delle sensazioni è come quella di tutte le cose, arrivano e vanno via. Perché nella purezza della mente non esiste niente che permane.
            Notavo che appena perdevo quella purezza e iniziavo a preoccuparmi di una sensazione alla gamba, al piede o alla spalla, il dolore galoppava di nuovo libero nel pensiero. E la prima cosa che dovevo fare era ritornare ad accettarlo per quello che era, e poi a lasciarlo passare per quello che non era mai stato. E così andava meglio.

            Il passaggio successivo di quell’accoppiata, conoscenza consapevole e purezza di mente, era far emergere tutte quelle sensazioni, ormai fissate, bloccate dentro di noi, i nostri traumi più profondi per dissolverli e lasciarli andare. Perché il dolore non era solo dato dalla postura con cui si meditava ma anche da tutta una serie di ossessioni, manie, fobie che si erano accumulate dentro di noi, e che noi perpetuiamo poiché le diamo un’esistenza concreta che non hanno.
            Tutto passa, tutto cambia.



            L’ultima sera, l’ultimo video di Goenka proponeva una certa scommessa.
            Raccontava della sua storia, uomo di successo nella sua comunità, ma anche un uomo miserabile e infelice. Di come scoprendo la tecnica vipassana, la sua vita fosse cambiata. L’esempio non era tanto sul lieto fine della storia, tanto su un episodio in particolare.
            Lui, dopo due giorni di corso, voleva abbandonare l’apprendimento. Non ci vedeva niente di utile. E poi si scontrava non poco con il suo ruolo di rappresentante indù della sua comunità. Il caso volle che qualcuno gli consigliò di rimanere, di dare alla tecnica un tempo, che non sarebbe costato niente. E lui lo fece, diventando così una persona migliore.

            L’idea espressa era:
            Anche se tu non sei d’accordo con tutte le parti della teoria della tecnica, anche se ci sono cose che per te difficili da rispettare per il momento, come i precetti di sila, non scoraggiarti. Prova!
            Quale svantaggio dovrebbe provenire dal mettere a frutto la tecnica di meditazione vipassana, per un certo periodo di tempo, per esempio un anno?  
            Se risulta essere stato inutile, cosa si sarebbe perso? Solo un po’ di tempo dato alla meditazione. Niente di più. La tua vita non sarebbe stata peggiore di quello che era già prima.
            Al contrario se dopo un anno la tecnica incomincia a funzionare, tu ti saresti sentito meglio. Saresti stato in grado di accettare il mondo per com’è. E le sue parti teoriche e il suo codice morale avrebbero incominciato ad avere senso e tu si saresti trovato a seguirle senza accorgertene.
           
            Allora scommetto?
            Sembra che non ci sia nulla da perdere

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